martedì 2 agosto 2011

A Siena le donne dopo il 13 febbraio _ di Luisa Petrucci

All'assemblea di “SE NON ORA QUANDO?” - Siena 9 e 10 luglio - hanno partecipato oltre 2000 donne.
Nata come una riunione fra i Comitati locali di "Se non ora quando?" (attualmente più di 200 diffusi in tutto il Paese), l'iniziativa si è trasformata a poco a poco in una grande assemblea, in cui sono confluite le rappresentanti dei Comitati, ma anche le esponenti di numerose associazioni, pure quelle che, come l'UDI, non avevano aderito alla manifestazione del 13 febbraio, e numerose donne singole.
Dagli interventi che si sono susseguiti durante le due giornate, tutti rigidamente di 3 minuti (fossero di parlamentari, giornaliste, o donne impegnate in piccole realtà di base) è emersa:
- una notevole ricchezza e varietà di esperienze,
- una grande voglia di incidere sulla politica e sulle istituzioni,
- la volontà di mettere in rapporto le donne impegnate da molto tempo nei movimenti e quelle di più recente impegno (presenti all'incontro molte cinquantenni e quarantenni, un po' meno le giovani e giovanissime).
Si parte dalla convinzione comune che la manifestazione del 13 febbraio ha dato una scossa al Paese - lo dimostrano i risultati delle elezioni amministrative e dei referendum - e dal riconoscimento che tutto questo è stato possibile grazie al lavoro politico capillare e costante delle donne nelle associazioni, nei partiti, nei sindacati portato avanti negli anni.
Si potrebbe sintetizzare tutto questo con il nome di un'associazione intervenuta il primo giorno: “Zitte mai”.
Del movimento, ovviamente, non fanno parte i partiti, ma le donne impegnate nei partiti sì: anzi, viene proposto di chiedere loro di aprire una vertenza all'interno delle rispettive formazioni politiche.
I temi al centro del dibattito sono stati essenzialmente quattro, collegati strettamente tra loro:
 il lavoro, e quindi la disoccupazione ed il precariato che colpiscono le donne in misura maggiore degli uomini (solo il 45% delle donne ha un lavoro retribuito - è la percentuale più bassa d'Europa -; le donne occupano solo il 7% dei livelli dirigenziali e, a parità di lavoro, guadagnano in media il 20% in meno degli uomini, anche nel lavoro precario; inoltre, venendo meno un sistema di welfare, il carico di lavoro di cura si riversa tutto sulle loro spalle);
 la maternità, affrontata essenzialmente come diritto negato (ogni anno 800.000 donne perdono il lavoro perché diventano madri; un grosso limite è che non si è parlato dell'autodeterminazione, delle difficoltà che devono affrontare soprattutto le ragazze e le immigrate, giovani e meno giovani, quando hanno bisogno di abortire, e della profonda solitudine in cui si vengono a trovare);
 la mercificazione del corpo delle donne ed il nesso tra sesso politica e potere;
 la rappresentanza delle donne nella politica
Pina Nuzzo, dell'UDI, ha chiesto espressamente alle parlamentari che si impegnino perché venga discussa in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare “Norme di democrazia paritaria nelle assemblee elettive”, su cui sono state raccolte nel 2007 ben 120.000 firme (e che rientrava nella campagna “50 & 50 ovunque si decida”!.
Riporto gli obiettivi concreti emersi da molti interventi, anche da quelli, in fase conclusiva di Di Salvo e Sapegno:
1. l'istituzione di un assegno di maternità per tutte le donne, occupate e disoccupate;
2. il porre fine al ricatto della lettera da firmare al momento dell'assunzione (le dimissioni in bianco);
3. la rivendicazione del congedo di paternità obbligatorio (importante come segnale che i figli non sono solo delle madri e come risposta ad un desiderio che sta emergendo in molti giovani padri);
4. il deciso contrasto all'innalzamento dell'età pensionabile per le donne a 65 anni,
5. la lotta contro l'attuale manovra del Governo (la più misogina che ci sia mai stata, a detta della Camusso), che comporta un ulteriore abbattimento dei servizi sociali,
6. l'introduzione dello strumento del bilancio di genere nella pubbliche amministrazioni.
7. l'obiettivo del 50 e 50, cioè la presenza delle donne al 50% ovunque si decide, non aumentando il numero dei posti (con dei posti aggiuntivi fatti apposta per le donne, ma con le donne al posto degli uomini).
Il carattere dell'assemblea è stato di grande apertura, ma non sono stati fatti sconti a nessuno: le rappresentanti politiche hanno avuto qualche fischio un po' tutte (anche Rosy Bindi quando ha detto “chiederò al mio partito di venire qui”). L'atteggiamento nei confronti della politica istituzionale si potrebbe sintetizzare con le parole di una neoeletta al consiglio di Napoli, che si è avvicinata da poco alla politica e che chiede alle politiche "professionali" "di stare accanto a noi e di non camminare sopra di noi".
La proposta scaturita da Siena è “un patto fra donne” che sul piano organizzativo prevede la costruzione di una rete nazionale, stabile, autonoma, inclusiva, con nodi territoriali, aperta a tutte coloro che decidono di starci (comitati, associazioni, donne singole), in cui si realizzi una piena circolarità delle informazioni e un continuo rapporto intergenerazionale (e dove ci si riconosca reciprocamente autorevolezza).
Anche se la valutazione complessiva resta positiva, più che altro per il processo che è stato messo in moto, occorre rilevare come la volontà unitaria alla base di "Se non ora quando?" possa essere declinata in modi diversi: perseguendo l'unità tutti i costi e quindi mettendo da parte alcuni temi su cui ci possono essere contrasti (vedi i consultori e la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza), oppure sviluppando una ricerca unitaria, che si basa sul confronto, anche conflittuale, sulle questioni su cui vi sono divergenze.
In proposito Lidia Menapace, nel suo intervento, ha rilevato proprio come la Costituzione, nata dalla Resistenza, tracci le linee, ed i limiti, della ricerca unitaria e della trasversalità.
Penso che il compito che abbiamo di fronte si possa assolvere solo trovando il modo di lavorare insieme (donne impegnate nel comitato SNOQ, nelle associazioni, nei partiti, nei sindacati, donne che si avvicinano per la prima volta all'impegno politico, come è accaduto a Siena), per costruire una "narrazione collettiva" che non cancelli quello che c'è stato prima e crei una continuità tra passato e presente. Continuità tra passato e presente vuol dire continuità dei contenuti e degli obiettivi. Molte donne si sono battute in passato per affermare l'autodeterminazione e la libertà di decidere sul proprio corpo, per conquistare diritti che, nei fatti, oggi vengono sempre più messi in discussione (vedi i continui attacchi alla legge 194 ed ai consultori, la legge 40, la mancanza di laicità da parte dello Stato, che si sottomette sempre di più ai voleri del Vaticano, ecc.).
Un'azione comune può nascere solo dal confronto e da un ascolto reciproco, senza ignorare le questioni su cui ci sono posizioni diverse. Ad esempio, la maternità va sì tutelata come diritto, spesso negato nel mondo del lavoro, ma deve essere considerata anche come il frutto di una libera scelta - e non di un destino a cui tutte le donne sono sottoposte -.
Si tratta, quindi, di un percorso arduo, ma, secondo me, vale comunque la pena di impegnarci per vincere questa difficile scommessa.

Luisa Petrucci

Siena 9-10 luglio: e' già politica? di Anna Picciolini

Tante, quante? Duemila e forse di più, comunque certamente più delle previsioni. In realtà le previsioni sono cresciute via via, costringendo a cambiare due volte la sede dell’incontro. Da un museo ex ospedale (Santa Maria della scala) a una piazza storica (quella del duomo) a una piazza –prato su cui si affaccia un vecchio edificio scolastico in cotto, come tanti edifici di Siena. Chi ha lavorato all’organizzazione di quest’incontro si merita tutta la gratitudine che è stata espressa negli interventi. Chi l’ha promosso può essere soddisfatta. Chi ci ha partecipato, anche chi ne ha seguito la genesi con qualche perplessità e lo dichiara, ne esce rafforzata.

Arrivo, mentre mi oriento per l’accredito e altre sciocchezze, incontro volti noti. Non solo compagne, anche amiche “normali”, quelle che vanno alle manifestazioni, ma solo a quelle grandi, quelle che c’erano il 13 febbraio. Come allora, mi dicono “finalmente, si ricomincia!” e io penso e non dico “ma tu dov’eri in questi anni, perché solo ora?”

Giornalisti e giornaliste presenti intervistano Rosi Bindi, Livia Turco arriva e suscita applausi.

Incontro alcune, poche, di quelle che hanno “tenuto” in tutti questi anni: le compagne di Roma e di altre città conosciute in decenni di femminismo. Non ci sono le cosidette “storiche”, con l’eccezione di Raffaella Lamberti, che mi racconta di essere stata fra le promotrici del comitato SNOQ di Bologna, esempio raro per quello che ne so. Altre da questo percorso hanno preso le distanze, anche con durezza. Lea Melandri ha affidato alla carta una riflessione che mi sembra incoraggiante.

L’età media però è alta. Non ci sono le molto giovani (e giustamente le trentenni rifiutano di giocare quel ruolo e si dichiarano adulte). Ma prima di dare a questa assenza un significato politico, penso alla collocazione marginale di Siena nei percorsi ferroviari e autostradali, alla data, al costo della trasferta, nonostante l’attivazione di una ospitalità militante insolita, credo, in una città come questa.

Si parte con la proiezione del video del 13 febbraio, e mi colpisce la varietà dei modi di partecipazione della platea: chi batte le mani al ritmo della colonna sonora, chi risponde “ADESSO” alla domanda che dal palco di piazza del Popolo in inverno arriva qui al prato di S. Agostino in estate, chi fa il grido delle manifestazioni degli anni ’70.

Comincia così una due giorni di dibattito serrato, per ore, con 55 interventi rigorosamente di tre minuti, 30 di comitati SNOQ nati in questi mesi, 10 di associazioni, 15 di donne singole. Altri 30 interventi sono stati affidati al cosiddetto punto G, dove era possibile registrarsi con la webcam o lasciare contributi scritti.

Credo che mi sia capitata raramente una situazione in cui sia stata così evidente la distanza fra la partenza e le conclusioni. Le relazioni introduttive avevano in comune l’atteggiamento di annunciare una novità, una nascita, come se non ci fosse stato prima nulla o quasi, come se fra il femminismo degli anni ’70 e l’oggi ci fosse stato il vuoto.

Questo limite era già presente negli appelli con cui era stato convocato il 13 febbraio e l’8 marzo, e, prima ancora, nel documento che aveva dato vita all’associazione DiNuovo.

Nelle relazioni conclusive, quella che ha dato conto della ricchezza delle proposte di contenuto e quella che ha avanzato una proposta organizzativa, compare invece l’affermazione, presente in molti interventi, che il movimento di donne che qui si è ritrovato si basa sul riconoscimento reciproco fra le donne che non hanno mai taciuto e quelle che adesso hanno preso parola.

Movimento di donne. Non a caso uso questo termine, invece di movimento delle donne. Il richiamo all’unità delle donne italiane mi è sembrato sincero, ma poco convincente. Anche perché si è spesso detto che l’aggregazione dovrebbe nascere sui “temi”, che non vuol dire molto. Altre invece hanno affermato che l’unità si costruisce su obiettivi e strategie, che è cosa diversa, e più complessa, forse impossibile, forse nemmeno auspicabile.

Un esempio. Fra i temi ricorrenti la maternità, affermata come diritto. La mia generazione ha combattuto la maternità come destino. Ma fra la maternità come destino e quella come diritto, mi sembra scomparsa la maternità come scelta, scelta di essere o non essere madre, quella che con una parola abbiamo chiamato autodeterminazione. Siamo sicure che sia possibile un’alleanza trasversale in difesa delle legge 194 (mai nominata)? C’è chi ha nominato l’attacco ai consultori, dove leggi regionali (Lazio e Piemonte) cercano di introdurre i volontari del movimento della vita. Una ha nominato anche la RU486, ma nelle conclusioni la maternità di cui si parla è rimasta quella resa difficile dal lavoro, causa di licenziamento illegittimo, lasciata tutta sulle spalle delle donne, non riconosciuta come diritto, appunto.

Assente dal linguaggio, per lo più, la parola conflitto. Ma il conflitto fra donne e uomini, e quello, non meno importante, fra donne, ci sono, e non si superano con la rimozione, ma vanno gestiti in modo non distruttivo.

Anche il rapporto con la politica sembra oscillare fra una sorta di approccio sindacale, (presentazione di richieste alla politica, imposizione di un’agenda politica delle donne) e l’affermazione che questo incontro “è già politica” e che bisogna avere il coraggio di dire che per avere più donne nei luoghi decisionali bisogna scacciare degli uomini. Larga la condivisione della proposta del 50 e 50, che qualche anno fa sembrò una campagna solitaria dell’Udi.

Interessante la proposta organizzativa: una rete i cui nodi sono i comitati locali, ma con la quale possono costruire relazioni anche associazioni, che condividono obiettivi e strategie. Il comitato nazionale SNOQ sta in questa rete come un nodo funzionale.

Non è la prima volta che dopo una manifestazione ben riuscita si cerca di mantenere un collegamento nazionale perché l’energia manifestata non si disperda. Di solito non si è andati oltre un certo numero di incontri, con una partecipazione via via più ridotta.

Che cosa ci può essere di nuovo questa volta? Non basta dire che di questo c’è bisogno: l’esistenza di una domanda non garantisce l’esistenza di una risposta. Forse uno degli elementi di forza è la compresenza delle diversità, generazionali in primo luogo. Se queste diversità sapranno trovare un linguaggio comune, se la struttura organizzativa saprà sperimentare forme di partecipazione e processi decisionali inclusivi, se ci sarà il massimo di scambio circolare e di riconoscimento reciproco di competenze e di autorevolezza, la scommessa lanciata a Siena avrà qualche probabilità di essere vinta.

Anna Picciolini

L'intervento di Marisa Nicchi all'assemblea di "Se non ora quando" a Siena

Chi non riesce nemmeno a immaginare quanta forza innovatrice ci sia nella vita delle donne italiane, nelle nostre vite, è immerso in un autismo politico. E questo incontro dimostra una realtà cristallina nella società, ma opaca nei palazzi del potere: l’Italia è in crisi perché non ha dato risposta alla libertà delle donne, libertà che ha cambiato tutto: vite, lavoro, relazioni, saperi.

Una delle frasi simbolo di questo “spreco di spirito” è racchiusa in una frase “Signorina, mi firmi questa lettera, poi se ne riparlerà…se e quando ci sarà una gravidanza”. Patetica inadeguatezza sì, perché, oggi, le donne amano lavorare anche soffrendone: per cercarlo, con tanta difficoltà; per sopportarne la precarietà dilagante e i modi tutti maschili in cui è costruito il lavoro; per trovare, con ingegno, le mediazioni con la vita.

Libertà e sofferenza sono il doppio registro da tenere sempre a mente, perché la vita delle donne non si lascia ridurre in alternative secche.

Le ragazze, oltre che su carriere, ritmi, retribuzioni irraggiungibili, si preoccupano di di non vivere unicamente di lavoro, a partire e non solo, dalla possibilità di essere madri senza perdero.

Conflitti nuovi, su cui grava un’organizzazione del lavoro illiberale. E’ questo il contesto in cui si ricorre al ricatto di far firmare una lettera di dimissioni in bianco al momento dell’assunzione, lettera poi chiusa nel cassetto del “capo” insieme alla libertà della lavoratrice.

E’ una forma aggiuntiva di precariato che intrappola la vita di tante giovani, e che può incombere anche su quelle meno giovani.

La legge 188/2007, a cui, in quanto prima firmataria sono molto legata insieme a Titti di Salvo relatrice in aula, preveniva il ricatto della lettera in bianco. Ma, voi sapete, il governo l’ha abolita.

E’ stata la scelta inaugurale di questo governo, atto simbolico contro l’autonomia delle donne. Un fatto sprezzante, tra i tanti che si sono succeduti come l’obbligo di innalzare l’età della pensione anziché di trovare i modi per farla maturare alle giovani, o come, la spudorata intenzione dei dirigenti dell’azienda di Inzago di licenziare solo donne. “Così, dicono, possono stare a casa a curare i bambini”.

Guadagnare è la base dell’indipendenza e non è un secondo e meno importante stipendio di una famiglia. E non si può dimenticare che tra i nuovi compiti di una madre c’è anche quello del sostentamento economico dei figli.

Da qui deve arrivare la nostra solidarietà a quelle lavoratrici di Inzago per vincere la loro trattativa.

E, anche, da qui possiamo immaginare un percorso il più largo e ricco possibile, oltre noi, per promuovere una legge di iniziativa popolare. Un passo concreto, unitario. Insieme l’abbiamo ottenuta in Parlamento nonostante l’aggressione politica di Sacconi, insieme possiamo riaffermare il suo valore pratico e simbolico. Si tratta, non solo, di riprenderci questa legge, ma di riaffermare pienamente l’esistenza del corpo femminile nei luoghi di lavoro.

Oggi, infatti, per le donne il lavoro non è solo da conquistare, ma da rendere più simile a se stesse, questa scoperta la dobbiamo al femminismo.

E’ un lavoro per smascherare quegli ingranaggi impersonali che sottomettono la vita alla logica economica di mercato, logica che i referendum hanno bocciato.

Chi ostacola la volontà delle donne ha la vista molto corta, crede di comandare perché si tiene stretti potere e denaro, ma sono solo gusci vuoti. Possiamo essere certe che, malgrado gli ostacoli enormi, la voglia delle donne di realizzarsi è insopprimibile, e questo renderà la vita più bella a tutti.

Marisa Nicchi, Siena 9/10 luglio 2011